Sostiene Armando, che oltre a fare il fonico funge anche da guru - e motivatore, all'evenienza, visto che siamo più abituati a suonare dal vivo che nel silenzio disarmante della sala d'incisione - che, per quante volte si suoni un pezzo, solo in alcuni rari si riesce a creare quella magia che ti fa dire "è buono, teniamolo!".
Se nello spettacolo dal vivo, dove non si può fisiologicamente essere sempre al 100% della forma, l'aspetto visivo compensa brevi scollamenti tra gli strumenti e qualche errore d'esecuzione, in studio, dov'è l'udito l'unico senso in gioco, quel che conta è entrare in empatia, suonare con attenzione si, ma con tanto e sincero trasporto emotivo.
Solo allora l'alchimia si compie.
Anche quando le esecuzioni non sono le migliori della tua carriera, ma contengono quel pathos e quella vibrazione che all'ascoltatore non può non arrivare.
Oggi questa teoria si è palesata chiara alle nostre, di orecchie.
Siamo arrivati in studio motivati ma abbastanza stanchi dopo aver fatto spettacolo a Genova la notte prima e ci siamo lanciati subito su "Mai una cosa sola".
Nel nostro "CIRCO DI PAESE" questo valzer racconta del domatore che, come è d'abitudine nella vita sotto lo chapiteau, nei momenti in cui non è in pista col leone si occupa di tutti gli altri lavori utili a mantener vivo il carrozzone, compreso fare da inserviente e, all'occorrenza, staccare i biglietti all'ingresso.
Questa duplicità, il passare dalle "stelle alle stalle" nel giro di poco tempo crea, in qualche elemento del pubblico, una situazione di disagio: come può l'inserviente prima schivato distrattamente - e con un pò di diffidenza, aggiungo - essere ora al centro della stella, dentro la gabbia con tigri e leoni, bello nel suo costume scintillante, acclamato come un eroe?
Per chi sta fuori dal tendone, abituato a distinguere con attenzione "lavoro" e "hobby", parlare di specializzazioni e rifiutare di svolgere incarichi per i quali non sia stato adeguatamente "formato", questo non essere perfettamente inquadrati tipico dei circensi - e degli artisti, in genere - è inconcepibile.
Insomma, una canzone che parla di scarsa elasticità mentale ma, soprattutto, del pregiudizio che spesso ci fa considerare l'abito più importante del monaco.
Suoniamo "Mai una cosa sola" un pò di volte, prima di entrare bene nel tempo che il pezzo, carico di parole, quasi rappate, richiede per poter essere compreso.
Quando troviamo la giusta dimensione ne registriamo un paio di versioni buone, di cui una, a detta di Armando, ha la famosa "magia" di cui si parlava. In effetti l'ascolto ci da la stessa sensazione.
Non è giornata per affrontare pezzi estremamente complicati, quindi spostiamo l'attenzione su "Niente!", canzone di stampo cabarettistico che suoniamo dal vivo da parecchio tempo. Qui conta più l'intenzione che la perfezione e da due/tre esecuzioni ricaviamo un take che ci soddisfa. Penso che su questo pezzo inseriremo qualche armonia vocale e qualche strana percussione...
E' la volta di "Principesse", altro brano suonato tanto dal vivo, altro pezzo musical-cabarettistico; un paio di esecuzioni, di cui una certamente buona.
Buttiamo giù anche "Zampettare in diagonale", strampalato tre quarti dall'incedere sbandante, con un paio di cambi di ritmo e atmosfera, in una versione che - per quanto non molto apprezzata da Armando e Valentina - a me non sembra affatto male.
L'abbiamo registrata giusto una volta e quasi sicuramente la riprovere nelle prossime sessioni.
La stanchezza inizia a farsi sentire; facciamo giusto una prova di "Voglio un uomo" che neppure registriamo e decidiamo di desistere.
Di più non possiamo dare, ma la giornata è stata inaspettatamente produttiva.
Gli ascolti domestici ne daranno conferma o mi smentiranno.
lunedì 27 ottobre 2014
giovedì 23 ottobre 2014
Diario da "UN CIRCO DI PAESE" - 20 OTTOBRE 2014 - Sessione 2: All'italiana, nove metri, un pagliaggio (con incidente) e video-intervista per Musicraiser
Prima di arrivare in studio ci siamo detti "va bene prendersela comoda, ma vediamo di farne almeno un paio buone", che per noi significa metter da parte almeno due registrazioni corrette delle canzoni, per poter poi provare dei mix piuttosto che inserire delle nuove riprese vocali e/o altri strumenti - perchè questa volta gli ospiti ci saranno, eccome -.
L'idea era quella di partire con "All'italiana", pezzo che suoniamo dal vivo da un bel pò, breve, incisivo, (probabile apertura del disco), una cosa "toccata e fuga".
L'abbiamo presa sottogamba; l'abbiamo registrata ma, complice il fatto che non incidiamo col metronomo, il pezzo è pieno di pause "a respiro" e io e Valentina suoniamo in due sale separate, senza contatto visivo, ci sono voluti almeno 4/5 take per tenerne due, di cui uno sicuramente buono. Su questa base aggiungeremo i fiati e altre cose, ma di questo scriverò a fatto avvenuto...
"Nove metri" è la seconda canzone scelta per oggi. Parla della trapezista, un altro dei personaggi-attrazione del disco; donna bella, forte, abituata ad affrontare le difficoltà da sola, perchè gli amori che insegue le sfuggono di mano ogni volta che il circo cambia città.
L'abbiamo scritta relativamente da poco e suonata giusto una volta dal vivo; è un 6/8 con qualcosa di jazz, di struttura non complessa ma dalla linea vocale quasi proibitiva.
Il finale, vero "mostro" della canzone, è un salto progressivo di tre toni rispetto al tono d'impianto, scritto da Valentina: bellissimo e complicatissimo, soprattutto se affrontato dopo tutta una serie di cambi di registro.
Dopo aver tentato dei take falliti miseramente per errori di vario tipo, ci siamo concessi una pausa nella quale abbiamo registrato una video-intervista per promuovere la campagna Musicraiser legata al disco, con l'amico video-maker Saul Carassale e la provvidenziale presenza dell'altrettanto amico - e gran batterista - Valter Bono -, promosso intervistatore sul campo.
La pausa è servita distoglierci un pò dall'accanimento verso la canzone che fisiologicamente arriva in queste situazioni; in effetti, le due/tre riprese successive sono andate a buon fine, anche se resta sempre la possibilità che si decida di risuonare questo pezzo più avanti.
Come s'è capito, vogliamo fare le cose davvero per bene.
Non c'è due senza tre, ed ecco che arriva il turno di "Un pagliaccio", il pezzo che con "Un leone" ci ha portati sulla via del circo. In rete ne circola una versione dal vivo, visto che da quando l'abbiamo scritto non vedevamo l'ora di presentarlo alla gente questo clown che ci mostra cosa c'è dietro la maschera.
Il pezzo è veloce, una via di mezzo tra una marcia e un reggae, non complicatissimo - giusto un cambio di tempo e ritmo centrale -; ne registriamo una prima prova, non buona.
Ci prepariamo per un secondo tentativo ma fa capolino, dal piano, un suono tenuto, troppo tenuto per i miei gusti considerato che non ho il piede sul pedale; direi un suono tenuto e pari temuto: uno smorzatore non sta funzionando correttamente e non ne vuole sapere di sistemarsi nonostante i nostri tentativi.
Nulla da fare, serve l'accordatore.
Ma da un certo punto di vista va bene così: il paio di pezzi previsti è dentro, iniziamo ad essere stanchi, una pizza a casa e un pò di relax non ce li leva nessuno.
L'idea era quella di partire con "All'italiana", pezzo che suoniamo dal vivo da un bel pò, breve, incisivo, (probabile apertura del disco), una cosa "toccata e fuga".
L'abbiamo presa sottogamba; l'abbiamo registrata ma, complice il fatto che non incidiamo col metronomo, il pezzo è pieno di pause "a respiro" e io e Valentina suoniamo in due sale separate, senza contatto visivo, ci sono voluti almeno 4/5 take per tenerne due, di cui uno sicuramente buono. Su questa base aggiungeremo i fiati e altre cose, ma di questo scriverò a fatto avvenuto...
"Nove metri" è la seconda canzone scelta per oggi. Parla della trapezista, un altro dei personaggi-attrazione del disco; donna bella, forte, abituata ad affrontare le difficoltà da sola, perchè gli amori che insegue le sfuggono di mano ogni volta che il circo cambia città.
L'abbiamo scritta relativamente da poco e suonata giusto una volta dal vivo; è un 6/8 con qualcosa di jazz, di struttura non complessa ma dalla linea vocale quasi proibitiva.
Il finale, vero "mostro" della canzone, è un salto progressivo di tre toni rispetto al tono d'impianto, scritto da Valentina: bellissimo e complicatissimo, soprattutto se affrontato dopo tutta una serie di cambi di registro.
Dopo aver tentato dei take falliti miseramente per errori di vario tipo, ci siamo concessi una pausa nella quale abbiamo registrato una video-intervista per promuovere la campagna Musicraiser legata al disco, con l'amico video-maker Saul Carassale e la provvidenziale presenza dell'altrettanto amico - e gran batterista - Valter Bono -, promosso intervistatore sul campo.
La pausa è servita distoglierci un pò dall'accanimento verso la canzone che fisiologicamente arriva in queste situazioni; in effetti, le due/tre riprese successive sono andate a buon fine, anche se resta sempre la possibilità che si decida di risuonare questo pezzo più avanti.
Come s'è capito, vogliamo fare le cose davvero per bene.
Non c'è due senza tre, ed ecco che arriva il turno di "Un pagliaccio", il pezzo che con "Un leone" ci ha portati sulla via del circo. In rete ne circola una versione dal vivo, visto che da quando l'abbiamo scritto non vedevamo l'ora di presentarlo alla gente questo clown che ci mostra cosa c'è dietro la maschera.
Il pezzo è veloce, una via di mezzo tra una marcia e un reggae, non complicatissimo - giusto un cambio di tempo e ritmo centrale -; ne registriamo una prima prova, non buona.
Ci prepariamo per un secondo tentativo ma fa capolino, dal piano, un suono tenuto, troppo tenuto per i miei gusti considerato che non ho il piede sul pedale; direi un suono tenuto e pari temuto: uno smorzatore non sta funzionando correttamente e non ne vuole sapere di sistemarsi nonostante i nostri tentativi.
Nulla da fare, serve l'accordatore.
Ma da un certo punto di vista va bene così: il paio di pezzi previsti è dentro, iniziamo ad essere stanchi, una pizza a casa e un pò di relax non ce li leva nessuno.
Diario da "UN CIRCO DI PAESE" - 16 OTTOBRE 2014 - Sessione 1: Un leone (o giù di li)
Ci siamo imposti di lavorare al disco con un ritmo costante ma rilassato, onde evitare di fare, come in passato, ore e ore continue di registrazione, decine di take per ogni canzone, per poi realizzare, a fine lavoro, che le prime riprese erano quelle migliori; quindi, questo prima sessione parte alle 14, con marcia lenta: qualche chiacchiera mentre Armando sistema i microfoni, una prova di ripresa del piano e via col primo pezzo, "Un leone".
Questa canzone la amiamo particolarmente, racconta di questo animale-attrazione che brama la fuga, un cambio di vita, un ritorno alla naturale essenza, ma si rassegna appena vede cibo e bastone. Insomma, un leone parecchio umano.
E' una canzone tanto bella quanto difficile: sia vocalmente che musicalmente presenta un sacco di cambi di timbri e dinamiche, un'improvvisa accelerazione e un finale rallentato.
Insomma, c'è tutto quel che può mettere in difficoltà, in special modo alla prima giornata di registrazione, su un impianto rinnovato e con le dita su uno strumento poco conosciuto.
La suoniamo non so quante volte, intervallando con qualche pausa di ascolto, fino a che arriviamo a portarne a casa un paio di take.
Non ne siamo convinti al 100%, probabilmente nei prossimi giorni la risuoneremo; intanto ne portiamo a casa un raugh mix per riascoltarla; il suono, per nulla equalizzato, ci piace.
Godibile, ma qualche incertezza c'è: possiamo far di meglio.
Questa canzone la amiamo particolarmente, racconta di questo animale-attrazione che brama la fuga, un cambio di vita, un ritorno alla naturale essenza, ma si rassegna appena vede cibo e bastone. Insomma, un leone parecchio umano.
E' una canzone tanto bella quanto difficile: sia vocalmente che musicalmente presenta un sacco di cambi di timbri e dinamiche, un'improvvisa accelerazione e un finale rallentato.
Insomma, c'è tutto quel che può mettere in difficoltà, in special modo alla prima giornata di registrazione, su un impianto rinnovato e con le dita su uno strumento poco conosciuto.
La suoniamo non so quante volte, intervallando con qualche pausa di ascolto, fino a che arriviamo a portarne a casa un paio di take.
Non ne siamo convinti al 100%, probabilmente nei prossimi giorni la risuoneremo; intanto ne portiamo a casa un raugh mix per riascoltarla; il suono, per nulla equalizzato, ci piace.
Godibile, ma qualche incertezza c'è: possiamo far di meglio.
Diario da "UN CIRCO DI PAESE" - 10 OTTOBRE 2014: L'INGRESSO DEL PIANOFORTE IN STUDIO
Quando "UN CIRCO DI PAESE" ha iniziato a prendere forma nella nostra testa, abbiamo cercato di capire quale fosse la via migliore per realizzare un disco di alta qualità con grande libertà e senza fretta.
Con un paletto non da poco: la necessità di usare, per questo secondo lavoro, un pianoforte acustico.
In "Al pranzo di nozze" ho suonato uno stage piano digitale (Yamaha Motif) e il suono che è riuscito a tirarne fuori Armando Fiorenza è stato a dir poco miracoloso.
Armando, che per noi è un caro amico, è tanto un fonico di grande esperienza quanto un ottimo musicista di lungo corso e il suo apporto è stato fondamentale per realizzare, con "Al pranzo di nozze", un disco che ci rappresentasse al meglio, nonostante il tempo ristretto che abbiamo potuto dedicare alle sessioni di registrazione.
Ora, però, sono passati più di tre anni, il nostro modo di suonare è cambiato e le dinamiche, i cambi di atmosfera delle nuove canzoni meritano di essere valorizzati dal suono dello strumento "vero" per il quale vengono scritte.
Soprattutto, rispetto al 2011, sappiamo come vogliamo suonino i pezzi quindi nulla da fare, il pianoforte è indispensabile.
Dopo aver ipotizzato di registrare in qualche posto, auditorium o conservatorio già dotato di strumenti - ci era balzata anche l'idea, quasi subito abbandonata, di fare tutto a casa - e valutata la poca comodità di andare in qualche studio fuori da La Spezia, ci siamo presentati da Armando con - apparentemente - la soluzione in mano: "vogliamo registrare nel tuo Cellar Studio, ma dobbiamo portar dentro un piano a coda!".
La cosa non sarebbe di per se' un problema, del resto è prassi portare gli strumenti di cui si ha necessità nello studio in cui si registra.
Dovete però sapere che il "Cellar Studio" è ricavato da un enorme scantinato di un palazzo storico spezzino, tanto grande dentro quanto minuscolo per quel che riguarda l'accesso: in poche parole far entrare un pianoforte a coda dentro la piccola porta di ingresso, passando per una scaletta altrettanto stretta, è una sorta di parto al contrario.
Qui, però, ci sono venuti incontro gli astri; coincidenza ha voluto che il buon Sergio "Pippetta" Donati del negozio di strumenti "Il pentagramma" avesse in conto vendita un codino anni '70 Petrof, dimensioni piccole ma "cuore" grande, con un bel suono duttile.
Inutile dire che abbiamo colto l'occasione al volo: messe insieme un pò di uomini corpulenti - ed alcuni meno, me compreso, che però servono per fare "spogliatoio", pianoforte preso e portato, grazie a calcoli millimetrici di un "Pippetta" in gran forma su cui pochi avrebbero scommesso, dritto dritto in sala ripresa, dove calza a pennello e suona altrettanto bene.
Un intervento di accordatura e tutto e pronto per iniziare a far risuonare le note di "UN CIRCO DI PAESE" al Cellar Studio...
Con un paletto non da poco: la necessità di usare, per questo secondo lavoro, un pianoforte acustico.
In "Al pranzo di nozze" ho suonato uno stage piano digitale (Yamaha Motif) e il suono che è riuscito a tirarne fuori Armando Fiorenza è stato a dir poco miracoloso.
Armando, che per noi è un caro amico, è tanto un fonico di grande esperienza quanto un ottimo musicista di lungo corso e il suo apporto è stato fondamentale per realizzare, con "Al pranzo di nozze", un disco che ci rappresentasse al meglio, nonostante il tempo ristretto che abbiamo potuto dedicare alle sessioni di registrazione.
Ora, però, sono passati più di tre anni, il nostro modo di suonare è cambiato e le dinamiche, i cambi di atmosfera delle nuove canzoni meritano di essere valorizzati dal suono dello strumento "vero" per il quale vengono scritte.
Soprattutto, rispetto al 2011, sappiamo come vogliamo suonino i pezzi quindi nulla da fare, il pianoforte è indispensabile.
Dopo aver ipotizzato di registrare in qualche posto, auditorium o conservatorio già dotato di strumenti - ci era balzata anche l'idea, quasi subito abbandonata, di fare tutto a casa - e valutata la poca comodità di andare in qualche studio fuori da La Spezia, ci siamo presentati da Armando con - apparentemente - la soluzione in mano: "vogliamo registrare nel tuo Cellar Studio, ma dobbiamo portar dentro un piano a coda!".
La cosa non sarebbe di per se' un problema, del resto è prassi portare gli strumenti di cui si ha necessità nello studio in cui si registra.
Dovete però sapere che il "Cellar Studio" è ricavato da un enorme scantinato di un palazzo storico spezzino, tanto grande dentro quanto minuscolo per quel che riguarda l'accesso: in poche parole far entrare un pianoforte a coda dentro la piccola porta di ingresso, passando per una scaletta altrettanto stretta, è una sorta di parto al contrario.
Qui, però, ci sono venuti incontro gli astri; coincidenza ha voluto che il buon Sergio "Pippetta" Donati del negozio di strumenti "Il pentagramma" avesse in conto vendita un codino anni '70 Petrof, dimensioni piccole ma "cuore" grande, con un bel suono duttile.
Inutile dire che abbiamo colto l'occasione al volo: messe insieme un pò di uomini corpulenti - ed alcuni meno, me compreso, che però servono per fare "spogliatoio", pianoforte preso e portato, grazie a calcoli millimetrici di un "Pippetta" in gran forma su cui pochi avrebbero scommesso, dritto dritto in sala ripresa, dove calza a pennello e suona altrettanto bene.
Un intervento di accordatura e tutto e pronto per iniziare a far risuonare le note di "UN CIRCO DI PAESE" al Cellar Studio...
UN CIRCO DI PAESE, il nuovo album de "Le Canzoni da Marciapiede"
A quasi tre anni
dall'uscita di "Al pranzo di nozze", album di debutto che pubblico e
critica hanno molto apprezzato, siamo pronti per registrare "UN CIRCO DI
PAESE".
L'uscita è prevista per il
16 maggio 2015, giorno in cui lo
presenteremo, con lo spettacolo da esso tratto, all'auditorium Dialma Ruggiero
di La Spezia.
UN CIRCO DI PAESE racconta le vicende di una piccola carovana di
artisti che, spuntata dal nulla con il suo colorato chapiteau, per qualche
giorno porta la meraviglia dentro la realtà, con le sue stranezze, gli animali
e i suoi numeri da brivido.
Ma ciò che le canzoni
mettono in luce è quello che sta dietro i riflettori, piuttosto che davanti;
questi uomini-attrazione e animali-umani raccontano l'altra faccia dello
spettacolo, quella fatta di scelte di vita al limite, rinunce, fatica ma anche
solidarietà, generosità e amore.
Così, mentre un pagliaccio
si strucca e ci mostra l’uomo che la scena nasconde, l’elefante prende nota
delle cose che non vanno meditando una rivoluzione fallita in partenza,
l’inserviente si spoglia della tuta per mettere il costume da domatore – si,
perché il circo è il mestiere dei trenta mestieri -, la trapezista rincorre un
amore destinato a finire coi giorni di spettacolo, le storie di questi
uomini-attrazione si intrecciano e confondono a quelle - non poi tanto diverse
- che il pubblico porta con se dal mondo che sta fuori.
Alla fine sarà difficile
capire quale sia il vero circo, se quello dentro o quello fuori dal tendone.
O se non sia l'Italia tutta, che questi piccoli mondi li porta da sempre in grembo, il "paese" cui si fa riferimento.
Iscriviti a:
Post (Atom)